“Rumore, schiamazzo, ostacoli nell’uso del marciapiede da parte di altri pedoni”. Ho in mano il capo di accusa con cui le autorità polacche hanno processato per direttissima e condannato uno dei circa 150 tifosi della Lazio, arrivati la settimana scorsa a Varsavia.
Un processo penale. Un processo avvenuto senza la presenza di un difensore,
senza la rappresentanza della nostra ambasciata. Un processo dove i
ragazzi, tutti giovanissimi, molti minorenni, sono stati costretti a
dichiararsi colpevoli, alcuni pagando una multa pari a circa 100 euro, per poter essere immediatamente rilasciati.
Non
è avvenuto nel Terzo mondo, non è avvenuto in uno Stato dittatoriale,
bensì in Polonia, in un paese dell’Unione europea dove fino a prova
contraria dovrebbe esistere uno Stato di diritto.
Non stiamo certo
qui a difendere i tifosi violenti e nulla possiamo dire sugli arresti
dopo il lancio di sassi da parte di alcuni laziali nel confronti dei
poliziotti polacchi, ma di certo non possiamo non condannare la
decisione del tutto arbitraria della polizia locale di “fermare preventivamente i tifosi per evitare disordini”.
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