giovedì 4 settembre 2014

Camera dei Deputati. discussione DL Missioni internazionali




il testo del mio intervento in aula 


Signor Presidente, con questo decreto-legge e la sua conversione vengono prorogate per gli ultimi sei mesi del 2014 alcune decine di missioni, comprese azioni di cooperazione allo sviluppo e partecipazione a processi di ricostruzione, stabilizzazione, consolidamento e speriamo di pace. Alcune di queste missioni sono iniziate da molto tempo, formate da poche unità, come il caso di Cipro; altre, come quelle dei Balcani, sotto il cappello della UE, sono improntate soprattutto ad azioni di capacity building. Poi c’è UNIFIL, che è un tipico esempio di peace enforcing, e tante altre. E c’è poi l'Afghanistan che ha sempre rappresentato il punto controverso delle nostre discussioni in quest'Aula. Poi ci sono due nuove missioni, nella Repubblica Centrafricana e nel Mali, e una che si riferisce alla scorta marittima per il trasporto delle armi chimiche e siriane. 
  I primi tre articoli del decreto-legge si riferiscono a tre aree geografiche – ed è questa la novità di questo decreto-legge – e la prima parte dall'Europa, in particolare Balcani, Cipro, Mediterraneo, con la missione Active Endeavour, e poi c’è il Kosovo. Su questo Paese voglio richiamare l'attenzione perché nell'aprile dello scorso anno la Commissione europea aveva dato il via libera all'apertura dei negoziati per l'adesione della UE alla Serbia e a quelli per l'Accordo di associazione e stabilità con il Kosovo. Un grande passo avanti verso la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, pensavamo in tanti. Invece, proprio l'altro ieri, cioè il 2 settembre, il Vicepremier e Ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic, ha detto al quotidiano Danas: «La Serbia non – sottolineo »non« – riconosce il Kosovo e non firmerà un accordo internazionale di pace». Quindi, nonostante l'accordo sulla normalizzazione dei rapporti, concluso il 19 aprile 2013 con la mediazione della UE, Belgrado resta ferma nel rifiuto di riconoscere l'indipendenza proclamata unilateralmente dal Kosovo nel febbraio 2008. Ma perché insisto su questo tema ? Dal momento che il Kosovo è stato riconosciuto da 109 dei 193 Paesi dell'ONU e da 23 Paesi UE su 28. Non casualmente non l'hanno riconosciuto Spagna, che ha il problema dei Paesi Baschi, Cipro, che è il Paese della parte del nord, e la Grecia, per la irrisolta questione macedone. Perché il Kosovo ha delle analogie che ci portano quasi automaticamente a parlare di un altro Paese caldo, quello dell'Ucraina. Infatti, i separatisti usano proprio l'esempio del Kosovo per rafforzare la loro richiesta di secessione dall'Ucraina. Certo, l'Ucraina non rientra chiaramente e propriamente in questo decreto-legge, però anche questo merita una riflessione vista l'attualità. Giustamente, il sottosegretario Giro ieri ci ha riferito in Commissione sulla necessità di ottenere la de-escalation della situazione e ha anche sottolineato l'impellenza della ricerca di una soluzione politica. 
  Noi condividiamo la posizione ovviamente ma sottolineiamo e chiediamo che venga sottolineata in questi negoziati l'inaccettabilità assoluta della condotta russa e, in particolare, del suo Presidente. Quindi soluzione politica certamente perché non possiamo rispondere ai separatisti con le armi: equivarrebbe a portare la guerra nel cuore dell'Europa e poi, quanto alle sanzioni, non mi faccio illusioni sull'efficacia delle sanzioni perché le uniche sanzioni che ritengo efficaci, che noi socialisti riteniamo efficaci, sono quelle che riguardano gas e petrolio e non credo che noi siamo in grado di rinunciare ad una parte delle risorse energetiche che ci vengono da lì. Quindi, il negoziato politico è l'unica strada che c’è. Deciso, duro ma negoziato che ha un gravoso compito che spetta alla UE ed in primis all'Alto Rappresentante ma anche al Presidente del Consiglio europeo perché pochi sanno che anche il Presidente del Consiglio europeo ha un ruolo di rappresentanza della UE e comunque, parlando dell'Alto Rappresentante, voglio esprimere tutta la mia soddisfazione e congratularmi con la nostra Ministra degli affari esteri, Federica Mogherini, nostra Ministra ancora per poco tempo, e sottolineo che è un incarico molto importante, soprattutto per chi è convintamente europeista e spera nell'avanzamento del processo di integrazione europea. Alla futura Alto Rappresentante mille auguri perché possa avviare con tutti i limiti che per ora prevede il Trattato una politica estera che sia davvero politica comune dell'Unione e non una somma di singole voci che hanno spesso paralizzato e quindi reso inefficace, quando non controproducente, la nostra azione. 
  Ancora alcune brevi riflessioni nel merito di alcune missioni per poi dedicare un pochino più di tempo ad un altro tema che mi sta a cuore che è quello legato al piano di azione previsto dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, in specie dalla risoluzione n. 1325. 
  Sahara occidentale: sono contenta per l'invio di alcune presenze italiane nel Sahara occidentale dove dal 1991 si trascina o, meglio, langue il tema del referendum sempre rinviato. Nel 1991 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite istituì la missione Minurso con il compito di sorvegliare il rispetto del cessate il fuoco, di facilitare il rientro dei profughi e di supervisionare unreferendum di autodeterminazione previsto per l'anno successivo, il 1992. Da allora le ostilità non sono cessate, il referendum è stato continuamente rinviato per la difficoltà di accordarsi sull'ammontare complessivo della popolazione avente diritto al voto. Mi auguro che la nostra presenza contribuisca a smuovere questa impasse inaccettabile. 
  Mozambico: invieremo una piccola, piccolissima missione in Mozambico, ci ha detto la Ministra della difesa ieri per facilitare accordi tra Frelimo e Renamo. È un ritorno sul campo per quanto ci riguarda perché ricordo che, tra il 1990 e il 1992, il Governo italiano ha avuto un ruolo importante rappresentato dal sottosegretario Mario Raffaelli, ruolo importante nelle trattative che hanno portato agli accordi di pace di Roma tra il Governo del Mozambico e la resistenza nazionale mozambicana. 
  Due parole sulla Palestina e sul conflitto israelo-palestinese: dobbiamo davvero ringraziare l'Egitto per il ruolo svolto nel raggiungimento della tregua senza limiti tra le due parti. Ora dobbiamo agire perché la tregua venga rispettata, perché si avvii la ricostruzione di Gaza ma soprattutto ritengo che dobbiamo cambiare approccio perché non possiamo più avere un atteggiamento di rassegnazione rispetto al mancato conseguimento di una soluzione che è chiara per tutti perché non c’è un conflitto più studiato nei minimi dettagli di quello israelo-palestinese. Dobbiamo assumere iniziative come Italia e soprattutto come Europa che vadano oltre l'atteggiamento di osservazione impotente. La mia proposta, che ho già avanzato in questa sede, la proposta dei socialisti, è che si stabilisca una data oltre la quale l'Unione europea si impegna a riconoscere lo Stato di Palestina, se il blocco del processo di pace continuerà a permanere come temo. Questo credo che farà muovere le cose. 
  Per quanto riguarda la situazione in Siria e in Iraq, che è una crisi unica – abbiamo già detto, abbiamo già illustrato la posizione dei socialisti nella riunione delle quattro Commissioni congiunte, il 20 agosto –, non posso non ricordare Padre Dall'Oglio e le due giovani cooperanti, Greta e Vanessa, giovani, forse inesperte, sicuramente generose: non possiamo che pensare a loro perché, da troppo tempo, non abbiamo notizie. E cosa si può dire ? Speriamo. 
  Ultima riflessione, un argomento che mi sta molto a cuore: ho già riferito in quest'Aula, in alcune occasioni, degli incontri, in Commissione affari esteri, di alcune rappresentanti delle ONG, che ci hanno parlato delle loro attività in aree di conflitto e, soprattutto, ci hanno parlato, quelle ONG – Aidos, Pangea –, del ruolo delle donne nei processi di pace. Inevitabilmente, si è parlato della risoluzione n. 1325, che è una risoluzione «madre» di tante altre successive su donne, pace e sicurezza, che mette in evidenza il contributo femminile alla risoluzione dei conflitti ed alla costruzione di una pace durevole. 
  La risoluzione n. 1325 chiede agli Stati membri di predisporre piani di azione nazionali. L'Italia ha risposto a quella richiesta con alcuni anni di ritardo e, nel 2010, mi pare nel dicembre, ha presentato il primo piano di azione che copre l'arco dal 2010 al 2013. Quel piano era esclusivamente concentrato sul tema importante – è chiaro, ma solo su quello – della lotta alla violenza sulle donne. Fu una scelta del Dipartimento per le pari opportunità l'aver circoscritto il mandato di azione alla formazione del personale contro le violenze di genere, che, come ho già detto, è un dato importante certamente, ma limitarsi a questo, secondo me, significa non aver capito appieno le potenzialità di questo strumento internazionale, oltre che considerare le donne come beneficiarie delle politiche e non come protagoniste delle politiche. 
  Il testo del decreto, se il voto in Commissione, che è passato positivamente, quindi, verrà confermato, prevede l'esplicito riferimento al piano di azione predisposto dal Comitato interministeriale per i diritti umani del Ministero degli affari esteri. Questo nuovo piano allarga il campo di azione alle azioni di capacity building e all'educazione ai diritti umani: tra le altre cose, ma queste due le voglio sottolineare in modo particolare e lo dico con apprezzamento, con soddisfazione. 
  Ovviamente, meno soddisfatta, anzi, per niente soddisfatta sono della bocciatura di un emendamento che chiedeva un maggiore stanziamento di risorse per le iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di pace previste nell'articolo 8 del decreto. Quelle elencate nell'articolo 8 sono le azioni che fanno parlare di modello italiano di partecipazione alle missioni, modello caratterizzato da rapporti e collaborazione con organismi internazionali, umanitari, ONG, autorità e comunità locali. Il caso dell'Afghanistan insegna: non casualmente, una delegazione di parlamentari afgane, che ci hanno incontrato qui in Parlamento, ci ha chiesto di rimanere in Afghanistan e continuare quel tipo di lavoro. E non casualmente, la zona di Herat, dove noi operiamo con la nostra missione, ha visto la più alta percentuale di partecipazione al voto delle donne nelle scorse elezioni. Vuole ben dire qualcosa questo. 
  Ecco, questo tipo di lavoro va ampliato, deve prendere sempre più spazio nelle missioni e deve sempre più caratterizzarle. Naturalmente, per farlo, ci vogliono nuove risorse, che avevo chiesto e che non sono state approvate. Ieri, però, il sottosegretario Giro, al quale chiedo un momento di attenzione perché ho bisogno di una risposta, ha parlato della clausola di flessibilità prevista dall'articolo 10, comma 1, relativa al 15 per cento dello stanziamento previsto. Se non ho capito male, c’è la possibilità di utilizzare il 15 per cento dello stanziamento complessivo e renderlo – come posso dire – mobile, attribuibile ad alcuni settori piuttosto che ad altri. 
  Ecco, io chiedo al Governo se, avvalendoci di questa possibilità, non si possa destinare questo 15 per cento, tutto, alle attività previste dall'articolo 8 che tanto qualificano le nostre missioni. 

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