martedì 9 settembre 2014

Isis, combatterlo anche con gli strumenti economici




Da sempre la religione è stata usata per giustificare i crimini più atroci. Nella storia c’è una lunga scia di sangue e di violenza a cui tutte le religioni hanno dato il loro contributo, giustificando ogni ignominia in nome del loro dio.
Oggi per terrorismo religioso si intende soprattutto il terrorismo islamico, con il rischio di includere in una generalizzata condanna l’islam moderato, che per fortuna è la assoluta maggioranza, ma anche quell’islam che, pur essendo fondamentalista nel credo, non mira allo scontro violento o all’imposizione del proprio credo.
Per questo motivo non dobbiamo parlare di terrorismo religioso, ma semplicemente di terrorismo.
Le azioni di quell’esercito criminale chiamato IS vanno oltre lo stesso terrorismo. Si tratta di pura macelleria perpetrata non contro un esercito, ma contro donne, bambini, giornalisti, cooperanti. Le immagini che vengono diffuse sono di un’atrocità tale da farne quasi sospettare l’autenticità.
Come combattere un nemico del genere con il quale non può esserci nessun dialogo e nessuna trattativa? Tra le tante risposte possibili, c’è quella economica. Così come è avvenuto per la lotta alla mafia, o al terrorismo, è necessario capire chi finanzia il Califfato, da dove arrivano i flussi finanziari che permettono loro di acquistare armi e fare nuovi adepti, e soprattutto a chi è venduto il petrolio di cui sono in possesso. Cosa quest’ultima non difficile da tracciare, visto che o si tratta di oleodotti o di autocisterne.
Si parla sempre più spesso del Qatar, ma anche di alcuni paesi dell’ex blocco sovietico, che avrebbero fornito gli armamenti. Tra questi anche paesi che fanno parte dell’Unione europea, secondo alcune fonti giornalistiche, ovviamente da verificare.
Sono questi i canali da ricercare e da chiudere e non, come sostengono alcuni colleghi,  quelli che consentono a migranti e profughi di fuggire da quell’orrore e da quella barbarie. Noi questi richiedenti asilo, questi migranti abbiamo il dovere di accoglierli.

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