“Nell'incontro di questa sera parliamo di Mediterraneo e di Medio Oriente, una prospettiva che allarga verso sud la dimensione europea, che abbiamo spesso affrontata orientandoci più verso nord. Questa regione presenta un quadro complicato ed estremamente confuso; siamo di fronte ad una situazione pericolosa che ci tocca molto da vicino, ad esempio la Libia è a mezz'ora di volo dalla Sicilia ed in continuo cambiamento, E non è cambiamento per il meglio”. Lo ha detto Pia Locatelli introducendo a Bergamo l’incontro con Emma Bonino, organizzato dalla Fondazione Zaninoni, dal titolo Medio Oriente e Mediterraneo. Sala piena e posti in piedi per ascoltare l’ex Ministra degli esteri, intervistata dal giornalista del Sole 24 Ore Alberto Negri, che ha fatto il punto sui temi di stretta attualità dalla Libia, alla Siria, alla lotta al Daesh e alla gestione dei flussi immigratori.
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L'intervento introduttivo di Pia Locatelli
Non è necessario presentare la Fondazione Zaninoni, i suoi scopi e le sue attività, perché l’abbiamo fatto ripetutamente. Sapete tutti che è stata istituita per ricordare la figura non conformista e stimolante dell’imprenditore Angelo Jack Zaninoni attraverso attività di promozione culturale e di formazione.
Voglio però ricordare che la nostra, che è una fondazione bergamasca, non si è data limitazioni di ambito territoriale, consapevoli sin dalla sua costituzione che ben pochi sono i temi che non hanno un risvolto almeno europeo se non globale.
L’incontro con Emma Bonino rientra in questo filone e affronta temi che si collocano tra Europa e mondo. Ricordo che il nostro ultimo convegno aveva come titolo “Chi governa il mondo?”, un’interessante lezione di Sabino Cassese che ha sostenuto che l’attuale processo di globalizzazione ha un carattere prevalentemente economico. Ci ha raccontato che ci sono 2mila organizzazioni internazionali, definite “regimi regolatori globali,” che regolano qualcosa, da internet all’uso del mare, al trasporto aereo al commercio delle scorie nucleari. Gli Stati non sono più in comando e quindi oggi ci si chiede se esista un governo del mondo. Qualcuno risponde che esiste una Governance senza Governo. La risposta di Cassese è più articolata e complessivamente ottimista. Chi volesse approfondirla, la troverà nel quaderno disponibile all’ingresso.
Nell’incontro di questa sera parliamo di Mediterraneo e Medio Oriente, una prospettiva che allarga verso sud la dimensione europea, che abbiamo spesso affrontata orientandoci più verso nord.
Questa regione del mondo, geograficamente limitata ma molto articolata, comprendendo dai trenta ai quaranta Paesi a seconda della definizione che si dà di Medio Oriente, presenta un quadro complicato ed estremamente confuso; siamo di fronte ad una situazione pericolosa che ci tocca molto da vicino – la Libia è a mezz’ora di volo dalla Sicilia – ed in continuo cambiamento. E non è cambiamento per il meglio.
In questo territorio si stanno giocando i destini del mondo. Sono coinvolte, più o meno direttamente, le due grandi potenze mondiali; vi è uno scontro tra mondo sunnita e mondo sciita, ciascuno alla ricerca dell’egemonia; c’è la Turchia che combatte l’IS ma soprattutto i Curdi, c’è IS, espressione del fondamentalismo estremista, di fatto un’organizzazione terrorista, un gruppo molto agguerrito e mediaticamente molto organizzato, una realtà non statuale che vuole farsi Stato con qualsiasi mezzo, che agisce con una crudeltà che non risparmia nulla: persone, culture, patrimonio artistico, che agisce con il più profondo disprezzo dei diritti umani e con una brutalità particolarmente feroce nei confronti delle donne.
In questa tragica situazione l’Europa non brilla per presenza e iniziativa: gli Stati europei procedono in ordine sparso sia nell’approccio a questi conflitti sia nella gestione dei flussi migratori provenienti soprattutto da quella regione, migrazioni quasi tutte forzate e che hanno raggiunto le dimensioni di un esodo forse senza precedenti. Qualche governo in Europa, sia di destra sia di sinistra, pensando di risolvere il problema, vuole chiudere le frontiere interne o europee, costruire muri, stabilire quote di entrata giornaliera.
Chi meglio di Emma Bonino per parlarci di questa situazione? E chi meglio di Alberto Negri per sostenere con lei la conversazione?
Emma Bonino: siamo felici di averla con noi, la ringraziamo per la sua disponibilità e siamo molto interessati a quello che ci dirà.
Non ha bisogno di presentazione, è conosciutissima e altrettanto stimata. Conosciutissima per la durata della sua militanza, è sulla breccia da quando era molto giovane, aveva 28 anni quando fu eletta la prima volta alla Camera; ma, ancor più, stimata per la sua coerenza e il suo coraggio, le sue battaglie, le sue campagne, la sua capacità di capire le persone e di farsi capire, in Italia, in Europa e nel mondo. Stimata e direi amata, anche da chi dissente da lei, perché sa parlar chiaro, in modo diretto e perché ci mette la faccia, sempre.
La sua militanza non ha avuto limiti sia per quanto riguarda i temi sia per gli incarichi: nelle istituzioni, Parlamenti italiano ed europeo, governo italiano, Commissione europea; e nei movimenti, nelle Ong, nazionali e internazionali, che l’hanno vista impegnata come attivista, come dirigente, come fondatrice. Ovviamente senza limiti geografici: conosciuta in Africa per la sua campagna contro le mutilazioni genitali femminili o per le sue denunce per il genocidio in Rwanda; in Afghanistan dove ha rischiato di essere arrestata; in diversi Paesi per la sua campagna contro la pena di morte, conosciutissima all’ONU dove ritornerà tra pochi giorni come capodelegazione italiana alla 60° sessione della Commissione sulla condizione delle donne. Insomma: non c’è angolo del mondo dove il nome di Emma Bonino non sia collegato a qualche azione, campagna, presa di posizione.
Alberto Negri, è giornalista, o meglio inviato, del Sole 24ore. Per qualche decennio ha viaggiato in Africa, Medio Oriente e Balcani, quindi è molto, molto esperto.
Durante l’intervento militare del 2011 era in Libia, sotto i bombardamenti. E a questo proposito ha detto: “L’errore è evidente e si ripete: i bombardamenti dall’alto non cambiano la situazione e difficilmente determinano gli equilibri a terra. Quando si rade al suolo un sistema bisogna avere pronto un processo alternativo. Quando crolla un tiranno si sgretolano con lui strutture e istituzioni”.
Il suo primo viaggio in Iran è del 1980 e su questa esperienza ha scritto “Il turbante e la corona. Iran trent’anni dopo”. E in Iran era non più tardi di tre giorni fa per seguire le elezioni e siamo stati in ansia per il nostro appuntamento. Ma è tornato in anticipo, in tempo per questo incontro e gliene siamo grati.
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