domenica 27 luglio 2014

Congresso PSOE Uguaglianza per uscire dalla crisi

Impediamo che si diffonda la convinzione che le politiche che promuovono la parità siano possibili solo in periodi di “vacche grasse”. E’ una cosa che sento ripetere spesso. Nel mio Paese quando si affrontano temi che esulano dall’economia, si propongono leggi che promuovono la parità di genere, o i diritti civili, ci si sente rispondere che non sono urgenti, che non sono strettamente necessari, che ci sono cose più importanti delle quali occuparsi.


Lo abbiamo visto nelle scorse settimane quando in parlamento si trattava di approvare la legge sul doppio cognome per permettere, come avviene nel resto d’Europa, alle coppie di scegliere quale cognome dare ai propri figli e alle proprie figlie e che è stata rinviata per mancanza di un accordo.
Il dibattito che si è svolto era tutto improntato sul fatto che il Paese aveva bisogno di altro e che si stava perdendo tempo su un provvedimento inutile.


Non è così. I diritti civili e sociali sono quelli che fanno crescere un Paese e i tagli alla spesa sociale, anche se in un primo momento possano sembrare portare benefici economici, al conti fatti si rivelano deleteri per l’economia stessa.
E in periodi di bassa occupazione e di disoccupazione c’è ancora chi pensa sia normale che siano le donne a “tornare a casa” per occuparsi di tutti quei compiti di cura e tutela ai quali lo Stato non può più far fronte.
E’ vero il contrario: la stessa Cristin Lagarde, direttora del fondo monetario internazionale, che non è certamente campione del progressismo, ha detto: il basso livello di occupazione femminile è uno dei più ingombranti ostacoli alla crescita. La creazione di un welfare e di un mercato del lavoro più amichevole per le donne deve dunque imporsi come una delle priorità più urgenti. 

Era ora di invertire la rotta perché nell'affrontare la crisi finanziaria ed economica i governi europei hanno adottato politiche di consolidamento e di rigore, cioè politiche conservatrici per ridurre il deficit e il debito dei Paesi. E si capisce il perché: negli anni della crisi circa i due terzi dei Paesi europei sono nelle mani di governi conservatori .
Ma le ricette dell’Europa del solo rigore e dell’austerity, dichiarate ormai dannose anche da chi inizialmente le ha sostenute, hanno inciso non poco sulla qualità della vita delle persone: l’assenza di investimenti e il drastico taglio alla spesa sociale si sono tradotti nel restringimento dei servizi e del welfare che dallo Stato sono stati caricati sulle spalle delle donne, con conseguenze negative per la crescita e l’uscita dalla crisi, oltre che per la qualità della vita delle donne . 

Dobbiamo pensare politiche diverse. Ma occorre incominciare a farle queste politiche, non solo ad enunciarle. E dobbiamo farlo ponendo una doppia attenzione: andare in direzione opposta, con forti segnali proattivi sul fronte della crescita. Ma i campi in cui questa crescita deve avvenire devono essere attentamente valutati, al di là delle affermazioni di principio. In Italia ad esempio è almeno un decennio che parliamo di rimodulare il welfare, ma in realtà ci siamo limitati a una manutenzione dell'esistente. Non va bene.
Invece dobbiamo intervenire con grande decisione con investimenti sociali: asili, formazione, inserimento al lavoro, sostegni all'occupazione giovanile e femminile, casa, famiglie, lotta all'esclusione, invecchiamento attivo. Dobbiamo investire nelle infrastrutture della cura e non solo nelle infrastrutture fisiche.  
Abbiamo infatti visto, soprattutto con l’allungamento della vita, che i settori dedicati alla “cura” sono gli unici che non hanno subito una flessione della domanda che, al contrario, è in continua crescita.

Ma attenzione: pur pensando a politiche che stimolino la crescita, dobbiamo evitare di fare lo stesso errore dei conservatori: nella definizione e nella implementazione delle politiche dobbiamo applicare la prospettiva di genere,  che è dimensione sconosciuta ai conservatori (se l’avessero non sarebbero tali).

Quindi le raccomandazioni per l’uguaglianza al rialzo:
La crisi ha chiaramente rinforzato le differenze nell’accesso ai diritti per tutti ma, attenzione: se le forme di lavoro atipico (precarietà in aumento) ha penalizzato i giovani uomini e le giovani donne, le donne sono penalizzate due volte : ad esempio con riferimento ai diritti legati alla maternità che hanno subito pesanti limitazioni.
Politiche di contrasto alla povertà: penso alla Grecia, all’Irlanda, al vostro Paese e un po’ anche al mio: la povertà ha comportato serie conseguenze nei servizi legati alla salute e alla cura, soprattutto per le persone anziane. Le cooperative sociali possono essere una risposta se non si vuole o non si può “gonfiare “ il pubblico impiego.
I tagli al welfare devono essere rigorosamente monitorati sia a livello nazionale sia a livello europeo perché le disuguaglianze non aumentino all’interno degli Stati membri e tra Stati membri: siamo una Unione e non una somma di Stati europei.
La spesa sociale dovrebbe essere destinata e dare priorità ai servizi, servizi di qualità, e non distribuita sotto forma di voucher, soldi al posto dei servizi. Ciò ha comportato una riduzione nell’offerta di servizi pubblici che sono stati caricati sulle spalle delle donne.

I fondi europei dovrebbero essere destinati prioritariamente a infrastrutture sociali, più che a infrastrutture fisiche: salute, cura, educazione,formazione, ricerca, sviluppo, comunicazione. Questi sono gli ambiti cui dare priorità.
Dobbiamo convincere i governi che la realizzazione dell’uguaglianza nell’accesso ai diritti e la parità di genere sono fonte di sviluppo e non un onere da sostenere. C’è più spirito di appartenenza/cittadinanza e quindi voglia di contribuire al benessere del proprio paese se ci si sente parte di esso e non esclusi da esso. Se tutto il peso della flessibilità del mercato del lavoro è sulle giovani generazioni, come possono sentirsi partecipi della costruzione di un futuro per il proprio Paese?.

Un impegno a riconsiderare le politiche potrebbe partire dalla adozione di indicatori di genere come uno dei parametri per nuove politiche; così come l’adozione di sistemi di potrebbe fa sentire a tutti, ma in particolare alle donne che l’attenzione che i governi hanno nella definizione ed implementazione delle politiche tengono conto delle specifiche caratteristiche ed esigenze di uomini e donne.
O i governi imparano a legger la realtà per quella che è, a leggere il suo continuo cambiamento, e quindi a inventare politiche al passo dei tempi o la “politica” resterà e sarà percepita sempre arretrata. Essere creativi/e e coraggiosi/e: questo è il compito nostro, di noi che della politica abbiamo fatto una ragione di vita.

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